Il 26 maggio 2018 si compiva un’antica profezia.
Sei popoli venuti dai quattro angoli del mondo avevano percorso sentieri infiniti e irti di pericoli, smarrimenti, salite e discese per portare a compimento il proprio Destino: la fondazione della grande città di ALTAntide.
Approdati alla terra vergine che li attendeva, la mitologica Valsorda di Gualdo Tadino, i sei popoli avevano poco con sé: del cibo, delle tende, vestiti tutti uguali. Parecchi erano privi di beauty-case, molti altri pur avendolo non lo aprirono.
Ma tutti avevano una stella a guidarli: un sogno, un progetto da realizzare. E lo fecero.
I Micenei (meglio noti come Gualdo Tadino 1, reparto Caronte) sfoderarono le loro leggendarie abilità di cacciatori e con la benedizione di Artemide riempirono le foreste di trappole, ostacoli e meraviglie.
I Celti (Assisi 1), bellicosi di natura, innalzarono la loro fortezza di legno, dove per tutta la notte si spandeva l’odore di carne grigliata e canzoni.
Gli Egizi (Sigillo 1), signori delle acque, stabilirono i propri faraonici rifugi presso un lago e provvidero a far man bassa dei suoi pesci, con abilità ed entusiasmo.
I Sarmati (Foligno 1), dominatori delle alture e delle praterie, fecero sfoggio di arte bellica e lanciarono il loro carro da guerra giù per i pendii, alla conquista.
I Fenici (Foligno 3), provetti guerrieri, addestrarono le genti alla micidiale scienza della guerra grazie ai loro bersagli semoventi.
Ma la gloria maggiore appartenne agli Iperborei (Bastia 1), guerrieri e architetti senza pari, costruttori del magnifico mulino le cui pale ruotavano senza sosta, simili al sole che sorge e tramonta o ai pianeti che volvono nel cielo assieme alle stagioni e fu così che lo spirito degli Iperborei gli donò il trionfo fra tutti i popoli di ALTAntide.
La sera, dopo i giochi rituali per la fondazione della mitologica città, disputati per mezzo l’antica arte del Roverino Luminescente di Osiride, tutti i popoli si unirono attorno al fuoco, condividendo i propri pensieri, le proprie paure, gioie e rimpianti, e levarono lo sguardo al cielo. Ciascuno di loro riconobbe la propria stella, e la costellazione di cui faceva parte, e vide che era proprio accanto a tutte le altre. Che la mappa del firmamento, eterna, li conteneva tutti. Che i sei popoli erano una sola famiglia.
Ma siccome tutte le cose belle devono finire, la domenica, dopo la grande contesa, la città eretta in un sol giorno fu smantellata. Le tende abbattute, le legature sciolte, i pali caricati e trasportati con pianto e sudore di denti, e chi finiva prima prestava la sua forza a chi ancora non aveva finito, come si usa tra fratelli. Sotto il sole arrogante e spietato, fra risate, canzoni e grave penuria d’acqua. Di corsa, senza fretta, ognuno con la sua fatica, nessuno da solo.
L’atto di morte della città di ALTAntide, un Voga feroce e appassionato abbastanza da spaventare gli Dei sull’Olimpo, è stato anche atto di nascita di una nuova certezza, per tutti e sei i popoli: che si può sognare, si può costruire, e si deve ripartire.
Buona caccia,
Ludovico Marcucci
Lo Sciamano di ALTAntide.
Fotografie: Tommaso Feliziani, Jessica Nardi, Daniela Francesconi